LA TROMBA
Il vecchio se ne stava addossato alla vetrina e parandosi davanti agli occhi le mani, cercava di scrutare nei particolari la tromba. Dopo parecchi minuti mi decisi ed uscii.
“Buongiorno, perché non entra ad osservarla meglio?”
Alzò lo sguardo sorridente.
“Non volevo disturbare…”
“Ma ci mancherebbe.”
Avvicinatosi allo strumento estrasse un altro paio di occhiali e si chinò per scrutarla meglio.
“Sì, sì, è proprio la sua” sussurrò come a se stesso.
“Prego?”
Con una mano mi fece cenno di accostarmi.
“Venga, si avvicini. Vede questa lieve ammaccatura sotto la campana? – mi appressai per osservare meglio – ebbene, questa ammaccatura mi conferma che è proprio lei.” E ancora sorrise soddisfatto e senza che gli chiedessi nulla iniziò il racconto.
“Quando Eros entrò in orchestra noi si suonava su per la Carnia. Avevamo una piccola orchestrina, sa, quelle che girano i paesi, così, senza pretese, musica popolare che diverta la gente. Ma quando arrivò Eros le cose cambiarono. Era un trombettista come mai si era sentito dalle nostre parti. La sua tromba non suonava, cantava, tanto che spesso la gente invece di ballare si fermava ad ascoltare ed ogni volta erano applausi. Era però un suono poco allegro, quasi triste, sembrava un pianto. No, non capisca male, sembrava sì un pianto, ma tu non ne soffrivi ad ascoltarlo, ne restavi ammaliato e basta e ti si stringeva il cuore. Era un taciturno, non sorrideva mai e quando lo faceva, gli leggevi qualcosa di afflitto dietro le pieghe del volto. Cercavo di comunicare con lui, ma il tempo era poco e lui sorrideva sempre accondiscendente, come a dire – lascia stare, non è il caso – ma sempre gentile, mai scortese. Arrivava, suonava e ripartiva. Io ero molto incuriosito, sa, mi chiedevo cosa ci facesse con noi quel popò di musicista e soprattutto mi affascinava il suo sguardo nobile, sempre perso eppur sempre attento, come in attesa. Cercavo, durante le pause di fare amicizia, e lui rispondeva a monosillabi, mai scostante, ma sempre distratto e pian piano riuscii a cavargli qualche informazione. Sì, era stato un giramondo, aveva solcato mari e continenti e suonato nelle migliori orchestre, era apparso in molte televisioni e ricevuto numerosi premi. Già, mi chiedevo, e cosa ci fa uno così con noi? E finalmente un giorno che si era rotta la pelle della cassa della batteria, seduti al bancone del bar ad attenderne la sostituzione, gli rubai la notizia che attendevo:
– No, non sono qui per suonare, ovvero, non suono per il pubblico… sono alla ricerca di un sogno. – Lo osservai sorpreso e lui seppe che oramai avrebbe dovuto spiegarmi:
Cerco una donna. –
Una donna? Che donna? –
La donna della mia vita. –
E la cerchi qua? –
E’ una violinista. L’ho amata una sola notte, e poi è fuggita. Eravamo ad Acapulco e lei mi parlò della sua terra, la Carnia, mi disse di questa terra misteriosa, da leggenda, del desiderio folle che aveva di tornare. Quindi io so che lei tornerà qui e la aspetto. –
Ma la Carnia è grande… –
Non so altro, eppure la ritroverò. –
Capii allora molte cose e m’intenerii a guardare quell’uomo grande e grosso che rincorreva un sogno. Eccola la sua tristezza, ecco la sua musica grandiosa e mesta, malinconica. Eros spandeva note innamorate, per il suo amor perduto.
Continuammo per alcuni giorni a girare la Carnia, tra piccoli locali e feste di piazza che il più delle volte si trasformavano in un fuggi fuggi generale per colpa della pioggia.”
Il vecchio si fermò pensieroso. Sapevo che avrebbe continuato.
“E proprio in una giornata di pioggia, mentre suonavamo riparati sotto una tettoia… e ricordo anche il brano… sì, Polvere di stelle… Non so come fu, d’un tratto Eros smise di suonare e si irrigidì. Noi naturalmente continuammo, anzi, proprio io con la fisarmonica ripresi il canto. Ma ero distratto e non suonavo bene, anche gli altri si guardarono interrogativi. Cosa stava succedendo? Che cosa faceva lì, fermo, impalato come ad ascoltare. E poi successe quello che speravo accadesse. Un violino. Sì, caro signore, un violino. Sa, il suono del violino è penetrante, perforante, entra dappertutto, non ti difendi da quel suono meraviglioso e diabolico. Smettemmo la musica e restammo attoniti ad ascoltare. Che scena surreale. E tutto accadde così rapidamente che non ci fu tempo per nulla. Eros abbandonò la tromba, anzi, la lasciò andare e quella cadde contro lo spigolo della pedana (ecco il perché dell’ammaccatura), quindi si incamminò… e altro non so. Nessuno l’ha più visto.”
Ascoltavo catturato ed emozionato. Come prima il vecchio non mi permise di domandare nulla.
“Tempo dopo mi informai della violinista. Pensai non fosse difficile rintracciarla, non credo che in Carnia esistessero molte violiniste… donne intendo. Nulla, nessuno sapeva nulla. Ma io sono vecchio e testardo e anche da giovane ero cocciuto e non ho mai smesso di cercarli, lui e lei. Beh, le dirò subito che di Eros non si è più saputo nulla, lei invece… – e tacque da consumato attore, consapevole della mia curiosità – lei invece sì, lei l’ho trovata. Adesso è vecchia, ma ben si vede quanto possa essere stata bella in gioventù. L’ho incontrata per caso a Rigolato. Non suona più, ovvero, suona solo in casa e dà lezioni di musica ad alcuni bambini. Quando l’ho conosciuta, pochi giorni fa, purtroppo ero in attesa della corriera e abbiamo potuto scambiare solo poche parole, ma ci siamo lasciati con la promessa di un altro incontro… e infatti domani andrò da lei e finalmente saprò dov’è Eros, se è vivo, se non c’è più e soprattutto sapere di questa meravigliosa storia d’amore.”
Restammo entrambi taciti, fintamente ammutoliti perché, soprattutto io, desiderosi di riprendere a parlare. Ma il vecchio sembrava aver deciso per il silenzio. Sapevo o meglio, immaginavo come avremmo proseguito la conversazione.
“E così, questa è la tromba di questo Eros. Bella storia, veramente. E adesso? Cosa intende fare?”
“Caro signore, l’unica cosa da fare è portare la tromba alla meravigliosa violinista.”
“Giusto, ben fatto, però l’avverto che il costo…”
“No, non mi fraintenda, non potrò mai comprarla, sono un pensionato, non ho il becco di un quattrino. Ma quel che voglio fare è portarla con me a Rigolato e mostrarla a lei, il resto si vedrà. E’ possibile che lei la voglia acquistare, in caso contrario gliela riporterò il giorno appresso.”
Il vecchio non aveva dubbi anzi, non era stata una richiesta, ma una considerazione. Mi venne da ridere, ma la figura dimessa e fiera del personaggio, non mi permise alcuna ironia. Al contrario, lo osservai e mi vidi in lui tra non moltissimi anni. Sì, gli avrei dato la tromba.
Mentre chiudevo la custodia il vecchio estrasse dei documenti.
“Non serve, mi fido di lei.”
“Sbaglia caro signore, con tutta la canaglia che c’è in giro. Lasci che le firmi una ricevuta.”
“Non se ne parla, tenga la tromba e torni a raccontarmi il finale di questa storia.”
“Grazie giovanotto, a risentirci.”
“A rivederci, signor…”
“Rino Lamdan, sono di origini slave.”
Uscì curvo, forse più lesto di quando era entrato, oltre la strada si girò a salutarmi.
“Cosa ci faceva Rino da te?”
Mi sorpresi della domanda e osservai incuriosito Ponci che già accarezzava le chitarre appese al muro.
“Perché, lo conosci?”
“Ma dai, e chi non conosce Rino Lamdan?”
“Io per esempio.”
Ponci si girò dubbioso e quasi appoggiò il suo naso al mio.
“Gli avrai mica venduto qualcosa, magari con assegni…”
“Macché venduto, gli ho dato una tromba.” E immaginai quel che stava per accadere.
“Ma sei scemo? Ma sai chi è Rino Lamdan?”
Mentre Ponci continuava già mi accingevo alla rincorsa del vecchio musicista.
“E chi cavolo è…”
“Rino Lamdan, anagramma di Malandrino… tutti lo conoscono…”
Gli gridai qualcosa del tipo: resta in negozio, torno subito e mi misi a correre.
Rino era là, alla fermata dell’autobus.
“Signor Lamdan…”
Non fu sorpreso. Alzò la valigetta e me la consegnò.
“Vorrà mica denunciarmi?”
“No… e per cosa poi? Ma si può sapere…”
Continuava a sorridere, pareva proprio divertito.
“Bella storia però, nevvero?”
© Rocco Burtone