VAI COL LISCIO
“Non so che dirti Mike, mi dispiace davvero, ma non posso tenerti.”
Parlava guardandosi le scarpe. I rumori della strada sbiadivano le parole.
La settimana prima avevano suonato alla sagra di Spilimbergo e gli organizzatori si erano lamentati di quel trombettista troppo invadente.
“Cui crodial di jéssi, Luis Astrong? Che scolti Nini Rosso ch’a l’è miôr.”
“Lo sai, non è colpa mia, ne ho parlato anche ai ragazzi. Tu sei troppo bravo, tu sei un jazzista Mike, che cavolo ci fai con noi? Cosa cavolo c’entri tu con lo zumpa zumpa? Credimi, ti sto facendo un piacere.”
Cercò di alzare lo sguardo ma lo riabbassò subito.
“Quante volte, quante volte te l’ho detto, non svisare, non improvvisare, siamo un gruppo di liscio, facciamo musica popolare, non puoi riempire gli accordi di settime, seste, diminuite. Noi si suona in sol e re, devi cantare Mike, la tromba deve fare il canto, non può andarsene per i fatti suoi.”
La scarpa era slacciata, ma non ebbe il coraggio di chinarsi e continuò a fissarla con disinteresse.
“Il valzer del Porcellino stacca con si/do/re/do/si/re, è inutile che tu finisca in fa… il canto, hai capito? Dovevi solo fare il canto. Questa è gente semplice, non può apprezzare…”
Il silenzio di Mike era disarmante ed insopportabile. Alzò finalmente lo sguardo e gli tese la mano con finta disinvoltura.
“Buona fortuna Mike. E lascia il liscio (gli venne quasi da ridere per il bisticcio lessicale), cercati un gruppo di jazz che è la tua musica. Se vuoi posso parlarne con…” No, non c’era più spazio per altre parole.
Uscì.
La custodia era aperta. La luce della lampada colpiva la campana della tromba scheggiando sullo specchio accanto al comodino. Aveva sentito, lei aveva ascoltato tutto. Le si avvicinò depresso e imbarazzato. Tutte le promesse, i giuramenti… seppe che stava per piangere e la prese in mano e con lento rituale svitò i pistoni, quindi scivolò le pompe appoggiandole alla poltroncina. Staccò il bocchino e con acqua tiepida lo vezzeggiò. Cominciò a lucidarla ed oliarla con la delicatezza di sempre. Il panno penetrò serpeggiante gli orifizi dello strumento. Inserì lo scovolino nella camera d’innesto del bocchino e delicatamente la titillò. Finita l’operazione la contemplò alzandola al soffitto. Quanto le piaceva essere sollevata ed ammirata. Fece per portare il bocchino alle labbra ma capì che non era il momento, lei non lo desiderava. La avvicinò al cuore e la strinse teneramente. I rumori del traffico intonavano come impazziti accordi disarmonici, estremi, improvvisazioni free e dissonanze eufoniche. E non c’era contraddizione, Mike amava quei suoni apparentemente incompatibili alla melodia.
Uscì sul balcone, la tromba ancora adagiata al cuore.
Round midnight. Mezzanotte. Avvicinò la tromba al viso.
“I’ve found a new baby” scherzò ben sapendo quanto fosse gelosa e poco avvezza all’ironia e per calmarla la baciò e le soffiò il suo amore.
“Ehi trombettiere, vai a trombare da un’altra parte… ma chi è questo pazzo?… direttore, direttore, ma questo è un albergo o…”
“Ladies and gentlemen: All Blues.”
Il tassista alzò il capo con sorniona disapprovazione.
La prostituta pose la mano sulla bocca del cliente. “Un momento… taci” gli disse e si commosse.
Il turista giapponese gesticolando gridò qualcosa alla moglie che in tutta fretta mise le mani nella borsetta e ne estrasse una scintillante Nikon.
Un vecchio sassofonista di strada alzò lo sguardo meravigliato e scorse il trombettista sul balcone.
“La voce di Dio” pensò.
Miles Davis stava uscendo dal teatro proprio in quel momento.
“What’s that?” chiese.
L’accompagnatore in inglese stiracchiato:
“Mebi e cresi men.”
“Great!” esclamò Miles e chiamò il tassista distratto.
I suoni della notte, del traffico, le grida, i latrati dei cani, tutto e tutti formarono gli accordi d’accompagnamento di “All Blues”.
“La voce di Dio” ripeté il vecchio sassofonista e aprì la bocca in un sorriso cavernoso.
Mike scavalcò il parapetto e si lanciò nel vuoto.
Precipitò in Si bemolle.
© Rocco Burtone