STEVIE
Stevie bussò ripetutamente finché una vecchia con la faccia stravolta venne ad aprire.
“Al è sierât…”
“Sono il musicista.”
La vecchia con la faccia avvilita lo squadrò e senza voltarsi gridò alitandogli immondi olezzi d’aglio e di altri intrugli di bassa culinaria.
“Manlio, al è rivât il sunadòr!”
L’uomo altissimo e grosso si affacciò dal bancone.
“E alore?” quindi gli andò incontro.
“Mandi, ven ca che ti mostri il puest.”
Oltre la elle del bancone c’era uno spazio vuoto senza tavolini.
“Sotu di bessòl?”
“Sì, suono solo.”
“Bene, allora non hai problemi di spazio. Ti chiedo solo di non far passare cavi davanti alla porta che la gente deve andare in cesso.”
“A che ora si inizia?”
“Non prima delle dieci… e poi vedrai che casino. Ti ha spiegato Filippo?”
“Sì, mi ha detto qualcosa…”
“Qui devi fare casino, la gente deve saltare sui tavoli… hai le basi?”
Stevie intuì che c’era qualcosa di sbagliato.
“Guarda che io faccio concerto… non ho basi…”
“E come fai?… ma fai casino? Roba allegra?”
Un brivido gli percorse la schiena. Quel coglione di Filippo lo aveva mandato per l’ennesima volta nel posto sbagliato.
“Senti, non so cosa intendi, io faccio blues, boogie, swing, che è roba tirata, ma non so se…”
“Cazzo, ma ho parlato chiaro a Filippo.”
“Non è colpa sua. Credo che abbia mandato me data l’emergenza. Non so cosa dire.”
“Ma fai latino, Nomadi, un po’ di dance?”
Stevie tacque. L’altro lo osservò ed entrambi capirono, ma era troppo tardi per qualsiasi decisione.
“Se vuoi torno a casa.”
“No, tu suoni e domani Filippo mi sentirà.”
Cominciò a scaricare gli strumenti, quindi chiese al titolare dove fosse una presa di corrente. Questi gli mostrò una piattina che usciva da sotto il tavolo e terminava con una presa stile anni sessanta. Stevie la guardò.
“Ma regge questa roba?”
“Tranquillo, ci si sono attaccati tutti.”
E infatti appena inserì la spina sentì il brivido della scossa.
“Ehi amico, questa presa è fuorilegge e ho appena sentito la scarica.”
“Aspetta, ci penso io.”
No, non era la voce di Manlio. Una voce femminile. Gli occhi azzurri gli sorrisero e la vide chinarsi sotto il tavolo ed inserire la spina chissà dove.
“C’è un’altra presa” disse risollevandosi.
Stevie rimase senza fiato. Una donna gli stava di fronte e lui non sapeva che dire. Mora, occhi chiari, camicetta scollata su due tette botticelliane, culo da propaganda anti-kamikaze (nel senso che alla vista di un culo così qualsiasi kamikaze cambia idea) e infine la bocca che devi baciare (fosse l’ultima cosa al mondo…).
Quindi si trovò a suonare e non solo la voce gli sembrava più bella, ma le mani scorrevano sulla tastiera a memoria, senza paura. Poteva andare anche a caso sui tasti e comunque le note correvano impazienti in melodie ed assoli imprevedibili e coraggiosi e più lui si lasciava andare alla musica, più lei gli sorrideva ed approvava mantenendo il tempo con le mani, con i piedi, con tutto il corpo.
Nel mezzo di Mad man blues lei si avvicinò.
“Mi piace da impazzire la tua musica, mi eccita, è fantastica e anche tu mi ecciti Stevie.”
Stevie? Come conosceva il suo nome? Il sudore gli percorse il corpo mentre lei si avvicinava sempre più fino a sederglisi accanto. Gli accarezzò il collo ed iniziò a baciarlo, mentre lui sempre più atterrito ed estasiato dalla situazione non sapeva proprio cosa fare. Poi la mano di lei corse alle braghe sbottonando e rovistando mentre il blues continuava. Lo penetrò con la lingua che gli parve enorme ed indagatrice e lui si lasciò andare al bacio meravigliandosi di come le mani continuassero a suonare, di come non perdesse una nota, anzi, il blues continuava sempre più caldo e frenetico. Mad-sex-blues. Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma perché? Sapeva di non avere facoltà di parola. Ed allora lei si chinò e si mise l’uccello in bocca, ma stranamente restò immobile, senza accennare ad alcun movimento. Fu Stevie che seguendo il ritmo della musica arrancò alla ricerca del piacere estremo. E mentre stava tornando al Sol lei si sollevò e gli si sedette cavalcioni. Seppe all’istante che non c’era traccia di mutande. Il membro penetrò come nel burro e lui non poté trattenersi oltre e l’abbracciò lasciandosi andare all’amplesso mentre il blues correva imperterrito verso l’orgasmo.
“Vè c’al torne. Zòvin molimi… ce fastu fantàt?”
Di chi era quella voce? Non la stessa di prima. Aprì gli occhi e si trovò abbracciato alla vecchia che gli aveva aperto.
“Che cazz…”
“Tu às cjapàt la corìnt.”
Chiuse gli occhi e si riaddormentò.
“Viòt, al sta vaìnt.”
© Rocco Burtone